La Corte di Giustizia Europea ha stabilito che è “contrario alla concorrenza” vietare ad un cittadino di abbonarsi ad una pay tv di una paese diverso del suo. Questo è il fatto. Cosa ne deriva? Si sono scatenate speculazioni e titoloni di ogni genere, con molti che pronosticano enormi danni per BSkyB e Sky Italia. In realtà la situazione è più complessa di così e si risolverà, a mio parere, in una bolla di sapone.
La Corte di Giustizia, chiamata in causa da Karen Murphy, proprietaria di un pub di Portsmouth che era stata multata perché faceva vedere le partite della Premier League ai suoi clienti con una smart card di un operatore greco, non ha soltanto stabilito che non si può impedire all’agguerrita signora di abbonarsi al servizio che preferisce, ma che è lo stesso concetto di “esclusiva territoriale” dei diritti tv a non avere legittimità.
Per fare un esempio i soldi richiesti dalla Premier League (ma vale anche per la nostra Lega Serie A, per la Bundesliga e via così) per l’esclusiva della trasmissioni delle loro partite sul territorio italiano a Sky Italia non dovrebbero essere richiesti perché Sky a sua volta non ha diritto alcuno di impedire che sul territorio italiano possano essere sottoscritti abbonamenti a tv satellitari di altri paesi che hanno ugualmente acquistato i diritti.
A dire il vero la Corte ha sottolineato che questa “libertà” non è assoluta proprio nel caso dei locali pubblici: se non si possono considerare coperti da copyright i 90 minuti della partita possono esserlo le sigle, i loghi, gli highlights. Ecco qui che salta immediatamente il tappo: basterà far trasmettere l’intera partita con un logo in sovrimpressione personalizzato, protetto da copyright per ogni dato paese, e i locali pubblici non avranno altra alternativa che abbonarsi alla pay tv nazionale.
Quindi, in realtà, la “vittoria” della signora Murphy finisce per favorire (teoricamente) un altro tipo di clienti alla pay tv, quelli privati che le partite la vogliono vedere a casa.
Che effetto può avere la sentenza? A mio parere nullo. L’interesse all’esclusiva territoriale non è soltanto delle pay tv, ma anche dei soggetti che vivono (e sono sempre più affamati) di quei diritti. La Lega di Serie A incasserà quasi 600 milioni di euro l’anno per tre anni da Sky, cosa ne sarebbe di quei soldi se veramente milioni di clienti si abbonassero in massa ad un operatore stranieri più economico che compra i diritti “per l’estero” a cifre decisamente inferiori?
Inoltre tutte le principali pay tv satellitari europee fanno capo agli stessi due-tre gruppi industriali (Sky di Murdoch e Canal Plus le principali), con già abbastanza grane nel far quadrare i conti per imbarcarsi nel fare concorrenza all’estero. E ancora, nessun operatore straniero acquista la “totalità” dei diritti tv della Serie A. In sostanza un tifoso del Milan non avrebbe comunque la certezza di vedere la sua squadra del cuore se fosse abbonato ad una pay tv greca, portoghese, danese o inglese (ammesso che siano poi effettivamente più economiche). Stesso discorso vale al contrario: uno spagnolo che tifa Barcellona non può essere sicuro che Sky Italia trasmetta poi tutte le partite dei catalani.
Insomma, è interesse di tutti i soggetti in campo (chi vende i diritti, chi trasmette gli eventi) lasciare le cose così come stanno, anche se teoricamente c’è la libertà di commercializzare la proprio offerta all’estero. Chi è che avrà voglia, tempo e denaro di mettersi a combattere con le barriere linguistiche? Nei fatti già oggi gli italiani che vogliono vedere la pay tv per non essendo residenti in Italia intestano fittiziamente l’abbonamento Sky ad un’altra persona e portano il decoder all’estero. Questo nonostante sia in teoria vietato dal contratto, non c’era bisogno di alcuna sentenza della Corte Europea che lo permettesse.
La mia previsione? Le pay tv si tuteleranno per evitare che i locali pubblici approfittino di questa pronuncia, per i privati non cambierà nulla se non per poche decine di migliaia di utenti.
Fonte TVB
La Corte di Giustizia, chiamata in causa da Karen Murphy, proprietaria di un pub di Portsmouth che era stata multata perché faceva vedere le partite della Premier League ai suoi clienti con una smart card di un operatore greco, non ha soltanto stabilito che non si può impedire all’agguerrita signora di abbonarsi al servizio che preferisce, ma che è lo stesso concetto di “esclusiva territoriale” dei diritti tv a non avere legittimità.
Per fare un esempio i soldi richiesti dalla Premier League (ma vale anche per la nostra Lega Serie A, per la Bundesliga e via così) per l’esclusiva della trasmissioni delle loro partite sul territorio italiano a Sky Italia non dovrebbero essere richiesti perché Sky a sua volta non ha diritto alcuno di impedire che sul territorio italiano possano essere sottoscritti abbonamenti a tv satellitari di altri paesi che hanno ugualmente acquistato i diritti.
A dire il vero la Corte ha sottolineato che questa “libertà” non è assoluta proprio nel caso dei locali pubblici: se non si possono considerare coperti da copyright i 90 minuti della partita possono esserlo le sigle, i loghi, gli highlights. Ecco qui che salta immediatamente il tappo: basterà far trasmettere l’intera partita con un logo in sovrimpressione personalizzato, protetto da copyright per ogni dato paese, e i locali pubblici non avranno altra alternativa che abbonarsi alla pay tv nazionale.
Quindi, in realtà, la “vittoria” della signora Murphy finisce per favorire (teoricamente) un altro tipo di clienti alla pay tv, quelli privati che le partite la vogliono vedere a casa.
Che effetto può avere la sentenza? A mio parere nullo. L’interesse all’esclusiva territoriale non è soltanto delle pay tv, ma anche dei soggetti che vivono (e sono sempre più affamati) di quei diritti. La Lega di Serie A incasserà quasi 600 milioni di euro l’anno per tre anni da Sky, cosa ne sarebbe di quei soldi se veramente milioni di clienti si abbonassero in massa ad un operatore stranieri più economico che compra i diritti “per l’estero” a cifre decisamente inferiori?
Inoltre tutte le principali pay tv satellitari europee fanno capo agli stessi due-tre gruppi industriali (Sky di Murdoch e Canal Plus le principali), con già abbastanza grane nel far quadrare i conti per imbarcarsi nel fare concorrenza all’estero. E ancora, nessun operatore straniero acquista la “totalità” dei diritti tv della Serie A. In sostanza un tifoso del Milan non avrebbe comunque la certezza di vedere la sua squadra del cuore se fosse abbonato ad una pay tv greca, portoghese, danese o inglese (ammesso che siano poi effettivamente più economiche). Stesso discorso vale al contrario: uno spagnolo che tifa Barcellona non può essere sicuro che Sky Italia trasmetta poi tutte le partite dei catalani.
Insomma, è interesse di tutti i soggetti in campo (chi vende i diritti, chi trasmette gli eventi) lasciare le cose così come stanno, anche se teoricamente c’è la libertà di commercializzare la proprio offerta all’estero. Chi è che avrà voglia, tempo e denaro di mettersi a combattere con le barriere linguistiche? Nei fatti già oggi gli italiani che vogliono vedere la pay tv per non essendo residenti in Italia intestano fittiziamente l’abbonamento Sky ad un’altra persona e portano il decoder all’estero. Questo nonostante sia in teoria vietato dal contratto, non c’era bisogno di alcuna sentenza della Corte Europea che lo permettesse.
La mia previsione? Le pay tv si tuteleranno per evitare che i locali pubblici approfittino di questa pronuncia, per i privati non cambierà nulla se non per poche decine di migliaia di utenti.
Fonte TVB
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